Indice dei contenuti
- 1 Premessa
- 1.1 Quando la responsabilità penale del medico veniva disciplinata dal diritto civile
- 1.2 L’esigenza di una separazione tra responsabilità civile e responsabilità penale del professionista sanitario
- 1.3 Il decreto Balduzzi
- 1.4 Le linee guida e il problema della medicina difensiva
- 1.5 Le questioni irrisolte
- 2 La responsabilità penale del medico oggi. La Leggi Gelli Bianco e il neo articolo 590 sexies del codice penale
- 2.1 Il superamento della distinzione colpa grave e colpa lieve
- 2.2 Il ritorno alle linee guida
- 2.3 Responsabilità del medico che opera in équipe
- 2.4 Il principio di affidamento
- 2.5 I limiti del principi dell’affidamento
- 2.6 le responsabilità di chi occupa una posizione apicale
- 2.7 Responsabilità penale del medico a seguito dell’epidemia Covid 19
- 2.8 Lo scudo penale sanitario
- 2.9 Il carattere emergenziale della disciplina
- 2.10 Le questioni irrisolte del sistema normativo attuale
Premessa
La responsabilità penale medica è la responsabilità di chi esercita un’attività sanitaria per i danni cagionati al paziente, derivanti da errori o omissioni, consistenti in lesioni o nei casi più gravi nella morte del malcapitato.
La disciplina della responsabilità penale del medico è stata il frutto di elaborazione dottrinale e giurisprudenziale. La dottrina e la giurisprudenza hanno dovuto operare un bilanciamento, da un lato hanno dovuto considerare, che l’attività del medico rientra tra le attività rischiose ma necessarie e dall’altro la tutela del paziente che si sottopone ai trattamenti sanitari.
Quando la responsabilità penale del medico veniva disciplinata dal diritto civile
In particolare, la disciplina della responsabilità del medico è stata il frutto di una lunga evoluzione normativa. Inizialmente si invocava l’applicazione dell’articolo 1176 comma 2 del codice civile, secondo il quale: “ nell’ adempimento delle obbligazioni inerenti l’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata”, nonché l’articolo 2236 del codice civile, alla stregua del quale: “ se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde se non in caso di dolo o colpa grave”.
Sulla scorta di tali dati normativi, il formante giurisprudenziale finiva per limitare la responsabilità penale del medico ai soli casi di grossolana violazione delle più elementari regole cautelari dell’arte in questione, quindi solo in presenza di errore inescusabile avente origine o nella mancata cognizione e applicazione delle regole generali e fondamentali attinenti alla professione o nella mancanza di perizia e abilità tecnica richiesta per l’uso dei mezzi manuali o strumentali adoperati o, infine, nella mancanza di prudenza o di diligenza.
Questo fino all’intervento illuminante da parte della Corte Costituzionale, la quale con la sentenza 166/1973 ha chiarito che “la necessarietà di invocare in tema di responsabilità penale il criterio stabilito dall’articolo 2236 del codice civile per l’esercente una professione intellettuale quando la prestazione implichi problemi tecnici di speciale difficoltà, al fine di bilanciare due opposte esigenze, da un lato non mortificare l’iniziativa del professionista col timore di ingiuste rappresaglie del paziente nell’ipotesi di insuccesso dall’altro quello di evitare inerzie da parte del professionista stesso”.
La sentenza testé citata ha avuto il merito di sottolineare che la gravità della colpa del medico è tale ogni qualvolta vi sia un errore tipicamente professionale, scaturito da un difetto di “perizia”, non quando vi sia mancanza di prudenza o di diligenza.
L’esigenza di una separazione tra responsabilità civile e responsabilità penale del professionista sanitario
In ambito medico, è emersa l’esigenza di separare nettamente la responsabilità civile da quella penale. Secondo l’orientamento giurisprudenziale attuale, la responsabilità penale non dipende dalla nozione civile di inadempimento contrattuale ma richiede una valutazione specifica del diritto penale, anche per quanto riguarda la colpa generica, sia in relazione alla perizia che alla prudenza o alla diligenza. In quanto, stante la specificità della normativa penale non è possibile una applicazione estensiva della norma civile.
Sulla scia di questi orientamenti giurisprudenziali è intervenuto il legislatore dapprima con la legge Balduzzi e successivamente con la legge Gelli-Bianco, tracciando i confini della responsabilità penale dell’ esercente la professione sanitaria.
Il decreto Balduzzi
La legge Balduzzi nasce principalmente per limitare i casi di responsabilità penale del medico, al fine di evitare la cd medicina difensiva al contempo arginare i casi di “malpractice”.
Con la legge in esame si esclude la punibilità da un punto di vista penale del medico per colpa lieve, attribuendo rilevanza fondamentale alle linee guida.
In particolare, l’articolo 3 del decreto Balduzzi distingue le ipotesi di colpa grave e di colpa lieve, prevedendo che: “l’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 del codice civile.”
Le linee guida e il problema della medicina difensiva
Le linee guida sono considerate dei veri e propri criteri che il giudice deve utilizzare per valutare l’attività professionale svolta da un sanitario: “se il medico nell’esercizio della sua attività si è attenuto alle linee guida non risponderà per colpa lieve”(art.3), diversamente se non le ha rispettate risponderà penalmente anche per colpa lieve”.
Gli obbiettivi perseguiti dalla legge Balduzzi erano quelli di limitare il ricorso alla medicina difensiva e arginare le ipotesi di responsabilità penale del medico facendo ricorso alle linee guida.
Le linee guida, sono delle regole che indicano i passi che debbono essere compiuti dagli esercenti le professioni sanitarie per evitare errori ed omissioni. Molteplici sono gli scopi delle linee guida, da un lato innalzano lo standard della perizia esigibile dal medico, garantendo così una maggiore protezione del paziente imponendo ai sanitari una più elevata abilità professionale, dall’altro rende uniforme in tutto il Paese la valutazione dei giudizi sulla sussistenza o meno della colpa. Di particolare importanza è stata l’individuazione ad opera della legge Balduzzi delle linee guida ospedaliere, raccomandazioni e protocolli elaborati proprio per assistere medici e personale sanitario nelle scelte del percorso assistenziale più idoneo al caso concreto. In altre parole indicano qual è il comportamento e la prassi da seguire per uno specifico trattamento sanitario.
Naturalmente, il medico deve sempre valutare il caso concreto, in quanto le linee guida non assurgono a regole cautelari ex articolo 43 del codice penale, anche quando sono dettagliate. Quindi, come ha specificato la Cassazione: “il sanitario deve disattendere le indicazioni stringenti che possono risolversi in pregiudizio per il paziente” ( Cass.pen. Sez.IV, 8 ottobre 2013 n. 7951).
Le questioni irrisolte
Tuttavia, nonostante gli sforzi profusi, il decreto Balduzzi non è riuscito ad arginare il problema della medicina difensiva e ne tanto meno quello dei casi di malasanità.
La vita breve dello stesso è stata dovuta principalmente ad una serie di problemi applicativi connessi al giudizio di colpa, alla non facile individuazione di quali direttive cliniche discolpino il sanitario e cosa si intende per buone pratiche. Il tutto finendo per mettere ancora di più in crisi il rapporto medico-paziente con un aumento esponenziale delle richieste di risarcimento da parte dei pazienti contro i medici e le strutture sanitarie.
Così si è avvertita l’esigenza di un nuovo intervento normativo al fine di garantire una migliore tutela del medico e del paziente, volto a creare un clima di fiducia tra cittadini e professionisti sanitari nell’ambito di un rapporto medico-paziente sempre più basato sulla relazione di cura. Con queste speranze, l’8 marzo del 2017 fu elaborata ad opera dei dottori Federico Gelli e Amedeo Bianco la legge n.24 del 2017 recante norme in: “materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie”.
La responsabilità penale del medico oggi. La Leggi Gelli Bianco e il neo articolo 590 sexies del codice penale
La disciplina della responsabilità penale del medico è stata quindi innovata con l’emanazione della Legge Gelli Bianco, la quale ha abrogato il citato articolo 3 comma 1 del decreto Balduzzi, introducendo il nuovo articolo 590 sexies del codice penale: “ Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario”, ai sensi del quale: “ Se i fatti di cui agli articoli 589 e 590 del codice penale sono commessi nell’esercizio della professione sanitaria, si applicano le pene ivi previste salvo quanto disposto dal secondo comma. Qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alla specificità del caso concreto”.
La portata innovativa dell’articolo 590 sexies del c.p., consiste nell’escludere la punibilità del sanitario qualora:
1. la realizzazione dell’evento è a “causa dell’imperizia”;
2. il rispetto delle raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai “sensi di legge”, ovvero delle buone pratiche clinico assistenziali, laddove difettino linee guida pertinenti;
3. l’adeguatezza delle linee guida alla specificità del caso concreto.
Come possiamo notare, la funzione della normativa è delimitare i casi di responsabilità del medico nel caso in cui l’omicidio e le lesioni personali siano commessi nell’esercizio della professione sanitaria.
Il superamento della distinzione colpa grave e colpa lieve
Con l’introduzione di tale norma, infatti, non si effettua più una distinzione tra gradi di colpa ( colpa grave e colpa lieve, come faceva il decreto Balduzzi), e si esclude la punibilità in tutti i casi in cui siano rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida, sempre che l’evento si sia verificato a causa di imperizia. Viceversa si ha colpa del sanitario quando l’evento si si sia verificato per colpa ( anche lieve) per negligenza o imprudenza o per colpa (anche lieve) derivante da imperizia quando il caso concreto non è regolato da linee guida o dalle buone pratiche clinico assistenziali. Così come, il medico sarà chiamato a rispondere penalmente anche per colpa lieve, qualora, per imperizia, non abbia individuato le linee guida e le buone pratiche clinico assistenziali adeguate, tenendo conto del rischio e delle difficoltà dell’atto medico.
Il ritorno alle linee guida
La legge Gelli-Bianco introduce, con l’articolo 5, un obbligo generalizzato di attenersi alle raccomandazioni previste dalle linee guida-elaborate da enti e istituzioni pubbliche e private, o da società scientifiche iscritte in un apposito elenco istituito con decreto del Ministero della salute (d.m.2 agosto 2017). la legge individua nel contempo in modo più preciso e dettagliato rispetto al passato le linee-guida la cui osservanza può escludere la responsabilità penale: prevedendo l’istituzione di un Sistema Nazionale per le linee guida (SNLG), una procedura di accreditamento e di aggiornamento delle linee guida da parte dell’Istituto Superiore della Sanità e la loro pubblicazione nel sito internet dell’Istituto. In mancanza di linee guida il riferimento è alle buone pratiche clinico-assistenziali, monitorate da un apposito osservatorio nazionale, istituito con decreto del Ministero della salute ( d.m 29 settembre 2017).
Responsabilità del medico che opera in équipe
Spesso accade che il medico eserciti la sua attività in équipe, cd lavoro in équipe basti pensare ad es. l’équipe composta dal medico chirurgo, dall’anestesista. Nel lavoro pluridisciplinare, sorge il problema di stabilire fino a che punto un singolo medico possa rispondere dei comportamenti colposi attribuibili ad altri componenti dell’equipe, es In altre parole quali sono gli obblighi di diligenza, perizia e prudenza che il singolo medico deve osservare quando opera con altri soggetti.
La dottrina e la giurisprudenza hanno risolto questa annosa questione facendo riferimento al principio dell’affidamento.
Il principio di affidamento
Il principio di affidamento sancisce che ciascun componente l’équipe può e deve confidare nel corretto comportamento degli altri soggetti, e nell’osservanza da parte di ciascuno delle regole cautelari, scritte o non scritte, proprie delle rispettive attività da essi svolte. Ciascuno degli agenti può confidare che il comportamento dell’altro sia conforme alle regole di diligenza, prudenza e perizia. Così ad esempio il chirurgo può fare affidamento sulle informazioni che gli fornisce l’anestesista durante l’operazione etc.
Il principio di affidamento è espressione da un lato del principio del rischio consentito e dall’altro del carattere personale e colposa della responsabilità penale. La sua base costituzione è stata individuata:
a) da alcuni, nell’art. 27 del codice penale secondo il quale la responsabilità penale personale, e l’osservanza delle norme cautelari da parte di tutti i soggetti coinvolti nelle attività rischiose;
b) da altri nell’art. 54 del codice penale: il quale disponendo il dovere di tutti i cittadini di osservare leggi,
Naturalmente la possibilità di fare affidamento sull’altrui diligenza incontra taluni limiti, esso viene meno:
– Quando l’agente è gravato da un obbligo di controllo o sorveglianza nei confronti di terzi;
– Quando, sulla base delle circostanze concrete è possibile prevedere che gli altri componenti dell’equipé non si atterranno alle regole cautelari.
I limiti del principi dell’affidamento
La giurisprudenza e la dottrina limitano l’applicazione del principio di affidamento nel valutare l’eventuale responsabilità dei membri di una équipe medica. In primo luogo si pone a carico dei partecipanti l’attività multidisciplinare un obbligo di diligenza volto a porre rimedio ad errori altrui che siano evidenti e non settoriali. Inoltre si ritiene che in capo al soggetto in posizione apicale o comunque superiore sul piano gerarchico, sussista un ben più rigoroso obbligo di controllare e coordinare l’operato degli altri per correggere laddove necessario i loro interventi ( come nel caso del dirigente medico). In ultimo si ritiene in capo a ciascun componente l’équipe l’obbligo giuridico di impedire eventi lesivi dell’altrui vita e integrità fisica.
In merito alla portata del dovere di controllo esso può essere più o meno penetrante a secondo della posizione che si occupa nell’équipe, sino a divenire fonte di responsabilità per culpa in vigilando.
le responsabilità di chi occupa una posizione apicale
A tal proposito, in tema di attività medico chirurgica, l’art. 63 del d.p.r 20 dicembre 1979 n. 761 individua, all’interno degli enti ospedalieri, tre categorie di sanitari: il medico in posizione iniziale ( il cd assistente), il medico in posizione intermedia ( aiuto) e il medico in posizione apicale ( cd primario). A quest’ultimo compete il potere di impartire direttive all’aiuto e la verifica circa l’attuazione delle stesse, e da ciò ne derivano per il primario delle responsabilità.
Infatti, si ritiene che, in capo al soggetto in posizione apicale sussiste un ben più rigoroso obbligo di controllare e coordinare l’operato degli altri per correggere laddove necessario il loro intervento: “il medico in posizione apicale risponde dell’evento lesivo conseguente alla condotta colposa del medico di livello funzionale inferiore a cui abbia trasferito la cura del singolo paziente, ove non abbia correttamente svolto i propri compiti di organizzazione, direzione, coordinamento e controllo, volti a prevenire ogni possibile danno ai pazienti” (Cass. Sez.IV, 2 marzo 2021 n. 10152).
Responsabilità penale del medico a seguito dell’epidemia Covid 19
Durante lo stato di emergenza sanitaria da COVID 19 il problema della responsabilità colposa nell’attività medica è stata particolarmente avvertita per il carattere di novità della malattia,per l’assenza di linee-guida e di buone pratiche clinico-assistenziali.
La necessità di porre dei limiti alla responsabilità penale è emersa in primis in relazione alla somministrazione dei vaccini, soprattutto dopo alcuni casi di morte per trombosi verificatisi nei giorni successivi alla somministrazione del vaccino. Così a seguito dell’apertura di numerosi indagini nei confronti dei sanitari è stata introdotta una disposizione relativa alla responsabilità penale da somministrazione del vaccino anti covid 19, con il decreto legge n. 44 del 2021.
Lo scudo penale sanitario
In particolare, è stato introdotto l’articolo 3 del decreto legge n.44 del 1.04.2021, conv. in l. 28.05.2021 n.76 ( cd scudo penale sanitario), ai sensi del quale: “Per i fatti di cui agli artt. 589 e 590 del codice penale verificatisi a causa della somministrazione di un vaccino per la prevenzione delle infezioni da Sars-Cov-2, effettuata nel corso della compagna vaccinale straordinaria in attuazione del piano di cui all’art.1 comma 457, della legge 30 dicembre 2020, n.178, la punibilità è esclusa quando l’uso della vaccinazione è conforme alle indicazioni contenute nel provvedimento di autorizzazione all’immissione in commercio emesso dalle competenti autorità e alle circolari pubblicate nel sito internet istituzionale del Ministero della salute relative alle attività di vaccinazione”.
Il carattere emergenziale della disciplina
Inoltre, l’articolo 3 bis, d.l.44/2021, conv. in l.76/2021 prevede che: “Durante lo stato di emergenza epidemiologica da COVID-19, dichiarato con delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, e successive proroghe, i fatti di cui agli artt. 589 e 590 del codice penale, commessi nell’esercizio dei una professione sanitaria e che trovano causa nella situazione di emergenza, sono punibili solo nei casi di colpa grave. Ai fini della valutazione del grado della colpa, il giudice tiene conto, tra i fattori che ne possono escludere la gravità, della limitatezza delle conoscenze scientifiche al momento del fatto sulle patologie da SARS-COV-2 e sulle terapie appropriate, nonché della scarsità delle risorse umane e materiali concretamente disponibili in relazione al numero dei casi da trattare, oltre che del minor grado di esperienza e conoscenze tecniche possedute dal personale non specializzato impiegato per far fronte all’emergenza”.
Quando all’ambito di applicabilità della disciplina è evidente che questa sia di carattere temporaneo, esclusivamente solo per il periodo emergenziale, ed in ogni caso l’esclusione di responsabilità per delitti di omicidio colposo e di lesioni personale trova applicazione a condizione che siano state rispettate, sia nella somministrazione sia nella conservazione del vaccino, le regole cautelari codificate dall’Agenzia Italiana del Farmaco ( AIFA).
Le questioni irrisolte del sistema normativo attuale
Quindi all’attualità, la disciplina in materia di responsabilità penale del medico è quella contenuta nell’articolo 590 sexies del codice penale, quindi il medico non risponderà penalmente delle lesioni personali o della morte del paziente solo nel caso in cui abbia rispettato, nell’esercizio della propria attività professionale le linee guida e le best practice. In ogni caso la materia della responsabilità penale del medico ad oggi rimane una delle più controverse della lettura penalistica, la giurisprudenza dal canto suo è alla continua ricerca di criteri al fine di garantire una effettiva tutela per i protagonisti di un rapporto vitale come quello medico-paziente.
Le voluntas della legge probabilmente era quello di fornire una risposta concreta ai tanti casi di malasanità creando un clima di fiducia, ma i dati dimostrano che la strada da percorrere è ancora lungo,è auspicabile un restailing normativo che rappresenti una risposta concreta alle richieste della realtà odierna, in cui i casi di malasanità rappresentano ancora oggi una percentuale piuttosto alta nonostante gli sviluppi della scienza che ha cercato di limitare al minimo gli errori dei medici e le carenze delle strutture sanitarie.
